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In un altro articolo, che trovate qui, vi ho parlato dell’accompagnamento alla fine della vita secondo il rito tibetano, una pratica antica utilizzata con le persone. Quello di cui voglio parlare oggi è lo stesso metodo applicato agli animali.

Secondo i tibetani – e oggi la scienza lo conferma – ogni animale è un essere senziente, con una coscienza e la capacità di provare emozioni. So che vi starete chiedendo come è possibile che un moscerino abbia una piccola coscienza? Ebbene sì, anche il moscerino ce l’ha e – permettetemi di dire che – noi esseri umani ci sentiamo i più evoluti al mondo ma l’evoluzione è personale e non abbiamo il diritto di giudicare chi è meglio o peggio di noi.

Quello che posso confermare è di aver sperimentato l’accompagnamento alla fine della vita del mio gatto Santiago ed è stata un’esperienza illuminante e magica.

Gli animali hanno una sensibilità ed un’empatia che noi esseri umani abbiamo solo in casi di estrema necessità o in prossimità della morte. Gli animali sono, invece, sempre vigili, sensibili, con ampia capacità di percepire le sensazioni circostanti, le vibrazioni di pericolo, di paura, di rilassatezza, di protezione. Tutti gli animali sono in grado di percepire le nostre vibrazioni, anche quelli che definite “tonti”, “insignificanti”, “approfittatori”, “aggressivi”; probabilmente vi stanno solo mostrando una parte della vostra personalità, visto che non possiamo vedere negli altri le caratteristiche che non abbiamo in noi stessi, ma questo è un altro tema!

L’argomento di oggi è che possiamo accompagnare alla morte i nostri amici animali, come si fa con le persone. Ed esiste un procedimento per riconoscere le varie fasi e, soprattutto, per assisterli senza stressarli. Parlo di stress perché spesso, senza rendercene conto, li sottoponiamo a processi di cui non hanno bisogno, che sono la proiezione delle nostre debolezze, paure e rigidità.

Ad esempio, gli animali non temono la morte ma hanno paura – come noi – della sofferenza.

Che cosa è la sofferenza? E’ una condizione di dolore fisico o emozionale. Mentre noi esseri umani li sperimentiamo entrambi, gli animali temono il dolore fisico e, invece, subiscono le vibrazioni negative del nostro dolore emozionale.

Dunque, è importante avvicinarsi all’animale morente con dolcezza e seguire il suo sentire, non il nostro. Se ci apriamo e lasciamo stare le nostre proiezioni l’animale ci guiderà ed esprimerà come vuole essere aiutato. A volte serve molto di più la consapevole presenza che tanto movimento.

 

DIVENIAMO CONSAPEVOLI DI COSA CREA IN NOI LA MALATTIA DEL NOSTRO AMICO ANIMALE

I nostri amici animali sono insegnanti fino all’ultimo giorno e ci mettono di fronte a tutte le nostre debolezze e rigidità. Quando stanno male e non abbiamo idea di come aiutarli potremmo entrare in panico, ma esiste anche la capacità di accompagnarli, entrando in uno stato di empatia con loro. Non solo, dobbiamo divenire consapevoli dell’impermanenza della vita e dell’interdipendenza tra gli esseri viventi.

Chiedetevi: che cosa mi fa stare veramente male? Perché mi sento così….?

E’ fondamentale sviluppare la capacità di mantenere uno stato di pace interiore che può essere d’aiuto all’animale stesso. Spesso si racconta di animali che vanno a “morire lontano”. Sapete il motivo? Non vogliono percepire, in punto di morte, le vibrazioni di sofferenza delle persone che hanno intorno. Dunque, come per gli esseri umani, è importante creare la giusta atmosfera per facilitare il passaggio alla morte senza turbarli.

Un’altro tema che richiede attenzione è l’eutanasia, una pratica da evitare. Allevia la nostra sofferenza e ci fa sentire più leggeri pensando di aver fatto del bene all’animale. Sbagliato, abbiamo fatto del bene al nostro ego e alle nostre questioni non risolte. L’eutanasia è utilizzata in troppi casi per risolvere velocemente questioni difficili, ma vi assicuro che conosco casi raccontati da veterinari “illuminati” che non la praticano in cui, evitando la morte programmata, gli animali sono migliorati e hanno vissuto a lungo.

Mi dispiace dire che l’eutanasia è un procedimento insegnato “all’università”, per prassi, ma si viene meno all’ascolto dei nostri animali. Può essere evitata. Si possono accompagnare alla morte i nostri animali con cure palliative, che molti veterinari approvano. Vi assicuro che è un’esperienza di crescita interiore e spirituale che vi ricorderete a vita.

Il mio gatto Santiago stava malissimo e il veterinario mi aveva proposto l’eutanasia. Io ho scelto l’accompagnamento consapevole alla morte, chiedendo fino all’ultimo giorno antidolorifici e antinfiammatori per non fargli provare dolore.

L’unico dolore era il mio, nel vederlo in una condizione che mi faceva star male, ma non ho scelto di evitare il mio dolore con la sua morte programmata. Ho scelto di seguire il suo cammino, seppur con frustrazione e sentendomi per molti versi incapace di aiutarlo, e di accompagnarlo alla sua fine seguendo i suoi gesti e le sue richieste implicite. E questo perseverare ha guarito anche me.

Santiago ha lasciato il corpo sdraiato vicino a me, quando l’ho accompagnato con dolcezza e dopo averlo ringraziato per essere stato il grande amico che è stato. Mi ha ringraziato con le fusa fino all’ultimo respiro. Apparentemente soffriva, ma le fusa era il suo modo per dirmi che stava bene in quella situazione. Ho ascoltato lui ed ho messo da parte le mie paure e i miei pregiudizi sulla morte.

Questo è possibile farlo con qualsiasi animale, convenzionale e non, domestico o selvatico, grande o piccolo come un pesce. Credetemi!

Esiste un procedimento preciso per capire in che fase di dissolvimento fisico è il corpo e una meditazione, che trovate qui sopra, che potete eseguire negli ultimi giorni e nelle settimane successive alla morte.

Metto a disposizione il mio sapere gratuitamente per accompagnare gli animali alla fine della vita, per avere chiaro come comportarvi e seguirli senza traumatizzarli. Compatibilmente ai miei impegni vi aiuterò.

Mentre se avete bisogno di elaborare il lutto della loro scomparsa nella vostra vita, che è potente proprio come quello di una persona, scrivetemi privatamente per un percorso.

Con affetto

E.

 

 

 

Pensate alla morte come ad un punto di confine della mente, in cui termina la nostra “confort zone”, uno spazio di mezzo in cui, se non abbiamo compreso il senso illusorio del corpo e dell’effimero materiale, potremmo soffrire molto; ma, allo stesso tempo, abbiamo la possibilità di lasciare i limiti materiali per sperimentare la libertà assoluta.

Se arriviamo con tale consapevolezza all’ultimo giorno di vita, la morte sarà un piacevole passaggio. Non solo per noi, ma anche per chi ci sta intorno. Rovesciando la medaglia, la nostra consapevolezza può aiutare chi sta lasciando questa vita a farlo con serenità.

Il primo lavoro è su noi stessi, dobbiamo essere convinti che il passaggio a nuova vita sia una liberazione, solo così saremo in grado di aiutare qualcun altro. Questo non significa non provare dolore, ma viverlo diversamente, senza appesantire il morente.

Nel momento che precede la morte la persona tende a lasciar andare, a liberarsi dalle tensioni della vita, a diventare più empatica e ricettiva, ciò che conta è lo stato mentale che ha. Perché? Perché è un buon momento per trasformare il nostro cuore e il nostro karma negativo. Visto in questo modo potete capire quanto è importante seguire qualcuno che sta morendo, non con dolore, ma con presenza, accoglienza, ascolto. Non esistiamo più noi e i nostri sentimenti, ma l’altro e quello che sta sperimentando. L’atmosfera che circonda il morente è di fondamentale importanza perché influisce sui suoi ultimi pensieri e dobbiamo fare il possibile per rendere il passaggio leggero, così saremo più leggeri anche noi. Dobbiamo focalizzarci su amore, compassione, invocazione, preghiera e fiducia, senza proiettare sul morente le nostre aspettative, paure, insicurezze, modi di agire. Il morente non ha bisogno di molte azioni, ha bisogno della nostra silenziosa e accogliente presenza.

Dunque, ognuno di noi può intervenire creando la giusta atmosfera e dando un aiuto spirituale, è un momento di evoluzione per il morente come per noi stessi, che abbiamo la possibilità di “vedere oltre”, far fluire il perdono e l’amore incondizionato. Se non sapete cosa fare e vi sentite in difficoltà invocate l’aiuto dei maestri, del Buddha, del divino, degli angeli, di chiunque voi crediate.

Lo stato mentale nel momento della morte è importante – secondo i tibetani – e influisce anche sulla nuova rinascita. Dobbiamo fare il possibile per essere d’aiuto affinché il passaggio avvenga in modo positivo.

Una delle pratiche tibetane per favorire il passaggio alla morte è il Powha, che significa “trasferimento di coscienza”, una meditazione alla portata di chiunque voglia esercitarla vicino alla persona che sta lasciando il corpo oppure anche a distanza. Consiste nel fondere la nostra coscienza con la saggezza universale, in piena fiducia, per poi trasmetterla alla persona. Si invoca la presenza del Buddha – visto che è una pratica buddhista – che rappresenta il divino. Immaginate luce benefica sopra la persona per accompagnarla.

Segui la meditazione per l’accompagnamento alla fine della vita sul video qui sopra, quando avrai preso coscienza di come si pratica potrai ripeterla senza il video guida, attraverso la tua consapevolezza interiore.

A volte è difficile restare razionali nel momento in cui vediamo qualcuno caro morire, il punto non è di fingere che vada tutto bene, nè negare il nostro dolore, anzi possiamo condividerlo,  è proprio la condivisione che ci farà sentire più leggeri, anche con il morente stesso. Lasciamo andare, liberiamoci dagli schemi di una vita. Anche salutarsi è una pratica da esercitare, ciò che conta è che sia fatto prima dell’ultimo respiro, perché in quel momento la coscienza del morente è vulnerabile e pronta al cambiamento di stato, meglio accennare un sorriso e tentare di entrare in uno stato di rilassamento.

E’ importante affidarci al potere della preghiera, non legata alla religione, ma alla devozione, all’invocazione di esseri celesti e superiori che favoriranno il passaggio. La preghiera non è legata al dolore che nella cultura cristiana si vive nel letto del morente. La preghiera è luce, è colorata, è un’opportunità ed è allegria. Imprimetevi questo nel cervello!

Siamo venuti in questo mondo duale a sperimentare la bellezza e il dolore, la vita e la morte, nessuno può sottrarsi a questo ciclo e prenderne coscienza ci aiuta a vivere con più presenza e consapevolezza, a elaborare il lutto e la perdita di qualcuno caro, a lasciar andare i sensi di colpa per le cose non dette o, al contrario, per quelle parole che potevano essere evitate.

Se senti che non hai ancora elaborato un lutto posso aiutarti a farlo, scrivimi privatamente.

Con affetto

Eleonora